Quando si parla di sicurezza sul lavoro il comparto del trasporto marittimo viene spesso dimenticato e, guardando ai dati, se ne comprende la ragione. In un Paese quasi assuefatto alle tante, troppe tragedie che si verificano continuamente in ogni parte d’Italia, un comparto in cui nel 2019 c’è stato un unico infortunio mortale, ancora uno di troppo, non fa più notizia. I dati pubblicati dall’Inail nel luglio del 2020 indicano che, nel 2019, si sono contate circa 800 denunce di infortuni. Poco più della metà di queste denunce è concentrata nel trasporto passeggeri. Se a queste sommiamo le denunce di infortuni che si sono verificati sulle navi del trasporto merci, arriviamo a due terzi degli infortuni occorsi nell’intero comparto del trasporto marittimo.
Al di là delle sottovalutazioni a cui potrebbero indurre, se messi a confronto con quelli che si registrano in altri comparti, si tratta di dati che descrivono un fenomeno ampio e complesso, in cui i temi della sicurezza si intrecciano con quelli della contrattazione collettiva e della sua piena applicazione, perché difficilmente una compagnia che non applica correttamente il contratto applica in maniera scrupolosa le norme che presidiano la sicurezza dei lavoratori.
Le navi passeggeri e quelle del trasporto merci non sono soltanto quelle su cui si registra la maggior parte degli infortuni, sono anche le navi su cui più spesso si fatica ad applicare correttamente le norme contrattuali sull’orario e sui carichi di lavoro. Un marinaio che è costretto a ridurre al lumicino i tempi di riposo è un marinaio più stanco e quindi più esposto agli infortuni. Un marinaio impegnato in attività che richiederebbero personale più qualificato, e quindi più costoso per le compagnie armatoriali, è un marinaio più esposto ad errori pericolosi per la sua sicurezza.
Sono questioni importanti che richiedono un impegno costante del sindacato. A bordo, attraverso l’azione dei nostri delegati e dei nostri delegati alla sicurezza. A terra dove le nostre strutture territoriali sono chiamate, ad esempio, a serrati confronti sulle tabelle di armamento e al contrasto al fenomeno dell’autoproduzione.
Le tabelle di armamento, cioè il numero minimo e le professionalità dei marinai che compongono l’equipaggio di una nave, sono fondamentali dentro un microcosmo autonomo e separato dal resto del mondo, perché questo è una nave in mare aperto, in cui l’equipaggio deve essere abbastanza numeroso e articolato in professionalità da poter garantire in maniera autonoma la propria sicurezza, quella dei passeggeri e quella delle merci che sono a bordo.
L’autoproduzione, cioè l’esercizio da parte dell’equipaggio di attività specificamente portuali come il rizzaggio ed il derizzaggio dei carichi trasportati da una nave, è una forma di dumping che il Sindacato contrasta con fermezza, perché non è accettabile la logica di compagnie armatoriali che, pur di risparmiare sul costo del lavoro, impegnano i marittimi in attività per cui non sono formati e li espongono a rischi diversi da quelli che sono preparati ad affrontare, sacrificando senza esitazioni l’occupazione e la dignità dei lavoratori portuali.
In questo caso più che mai, senza le tutele del contratto collettivo non è possibile garantire efficacemente la sicurezza sul lavoro. Per la difesa di quelle tutele il sindacato ha già organizzato iniziative e mobilitazioni e deve essere pronto ad organizzarle ancora, se necessario, fino a quando il rispetto del contratto collettivo e delle norme sulla sicurezza non saranno diventate la normalità a bordo di ogni nave.
Il Sindacato, però non può limitarsi alla protesta e alle lotte difensive. Deve anche assumersi la responsabilità di aprire una riflessione più ampia anche sulle norme che regolano la sicurezza nel trasporto marittimo. Oggi le fonti normative di riferimento sono tre: il Decreto Legislativo 271 del 1999 sulla sicurezza e salute dei lavoratori marittimi delle navi mercantili e da pesca, il Decreto Legislativo 108 del 2005 che recepisce le direttive europee sull’orario di lavoro della gente di mare, e la MLC, la Convenzione Internazionale del lavoro marittimo, adottata nel 2006 per unificare le norme contenute nelle convenzioni internazionali del lavoro marittimo ed i principi fondamentali delle altre convenzioni internazionali del lavoro.
Queste norme, che spesso si incrociano o si sovrappongono, potrebbero essere razionalizzate e sistematizzate all’interno di un unico corpo legislativo. I marittimi hanno bisogno di norme agili ed efficaci, un vero e proprio testo unico sulla sicurezza della gente di mare, in cui le tutele siano codificate in maniera più aderente alla specificità di navigli che, dalle navi passeggeri alle petroliere, si differenziano notevolmente per tipologia e caratteristiche.
Non ci sono norme che tengano, però, senza un’adeguata consapevolezza dei marittimi per i temi della sicurezza, senza una formazione adeguata e costantemente aggiornata sui rischi professionali e sul modo più efficaci di prevenirli. Una formazione che deve essere sempre più sostenuta da fonti normative che ne rafforzino la durata e l’ampiezza e ne garantiscano il finanziamento da parte delle compagnie armatoriali e, almeno in parte, anche dallo Stato. Quella di costruire nei contratti e nelle norme i presupposti di una generalizzata consapevolezza dei marittimi sui temi della sicurezza sul lavoro è forse la sfida più importante che abbiamo di fronte.
Perché la conoscenza rende liberi, ma anche più sicuri.