Mi è capitato tra le mani un testo di Hildebrand Berghen, quei tomi rilegati con caratteri gotico-dorati in copertina. Averlo trovato su di una bancarella che vendeva tutti oggetti già usati mi meravigliò molto, considerate anche le ottime condizioni in cui si trovava il libro. Così, considerata l’aria ponderosa che emanava e che si addice ad un tomo da biblioteca decisi subito di acquistarlo. Una volta a casa lo riposi su una mensola con l’idea di trovargli una collocazione “coreografica”, per farne risaltare l’esteriorità. Quell’attacco di vanità fu dimenticato perché vari pensieri mi distrassero così tanto che trascorso qualche mese lo ritrovai dove lo avevo dimenticato cosicché decisi di scrutarlo con maggiore attenzione. Per la prima volta andai oltre il nome dell’autore e la brillantezza delle dorature e lessi il titolo che recitava: “Unicità di reazione dell’uomo sapiens in difesa dell’interesse”.
Un titolo che era tutto un programma e non mi capacitavo di come non lo avessi notato prima.
Berghen sostiene, in questa sua opera, che il sottofondo di violenza insito nel genere umano, ancorché giustificato da retaggi atavici di che risalgano a quando il sapiens era cacciatore e preda. E quella stessa violenza che ha permesso all’homo sapiens di essere il dominatore del pianeta a discapito di tutte le altre forme di vita, secondo il Berghen, nonostante millenni di civiltà, quando si tratta di difendere l’interesse si ricorre a quell’antica violenza anche in maniera preventiva. Berghen ne fa alcuni esempi e procede alla grande divisione tra violenza legale ed illegale, che noi oggi consideriamo lecita o criminale.
Poi suddivide ulteriormente queste due condizioni in individuale e collettiva, ciò quando l’interesse riguarda un soggetto o un gruppo. Quel che più mi ha fatto riflettere è stata la parte che descrive la violenza collettiva. Riporto un esempio che più di altri sembra esplicativo. Dopo aver descritto un insieme di persone che si unisce e si struttura in modo piramidale, il meccanismo è pronto. Il Berghen sostiene con una lunga disquisizione che i sapiens e quelli prima di lui (Abbilliss, Errectus, ecc.), per sua natura ha predisposizione ad organizzarsi sempre nello stesso modo; quando si parla di pluralità di soggetti c’è in modo gerarchico di organizzarsi, capo, vicecapo e così via sempre più giù e se si preferisce definirla una moltitudini di base ai selezionati del vertice, parlo appunto di una struttura piramidale.
Questo modo di essere consente, a chi lo adotta, di difendere meglio il proprio interesse o appropriarsi di interessi altrui. Questo sostiene Hildebrand Berghen dalla notte dei tempi, città dai comportamenti collettivi in altre forme di vita evolutiva dei mammiferi (leoni, renne, lupi) a noi più vicini sono gli insetti (api, formiche), i pesci (barracuda, pescecani, tonni).
Berghen dice inoltre che acclarato questo modus operandi dovremo intrecciare a ciò almeno cinquanta o sessanta secoli di etica o, se vogliamo, di vivere civile. Ma sorge spontaneo chiedersi: quale è la differenza tra due capi di un gruppo organizzato che decidono di utilizzare la violenza? La forza su di un altro gruppo per cupidigia o autodifesa, magari preventiva? Se ripuliamo da secoli di incrostazioni filosofico-moralistico-religiose il gesto, l’essenza dell’azione è identica indipendentemente da numero dei soggetti organizzati. Il capo di una banda di malavitosi o il capo di una più grande organizzazione hanno le stesse motivazioni, la difesa o l’allargamento degli interessi del gruppo di cui sono a capo?
Bisogna stare attenti perché vi è il rischio di bruciare millenni di evoluzione del pensiero etico-giuridico.
Come? Secondo il Berghen il rischio avviene se ad ordinare l’uccisione di un essere umano non è un capo di una banda, che comunemente definiamo mandante, ma il capo di una nazione. Se il presidente ordina scientemente, senza un percorso previsto dall’ordinamento, per di più questo presidente si trova ad essere il capo di una nazione pesantemente armata che ha fatto della guerra una delle sue vie di sviluppo economico. Oltretutto la nazione si vanta di essere baluardo della libertà e della democrazia, luogo di infinite occasioni per concretizzare sogni e ricercare molte forme di felicità. Non è rispettoso chiamare mandante un presidente. Ma sorge il dubbio che abbia agito contro tutto quello che è il gruppo organizzato. Più si è grandi.. peggio è.
Vi saluto e sono L’autoferroagricolo!