L’America, più di una volta sfondo di film gialli e storie di omicidi raccapriccianti, ritorna sul grande schermo con un film dedicato ad un serial killer particolare per la sua assurda normalità. A partire dal 9 maggio di quest’anno, infatti, in tutte le sale d’Italia verrà proiettato il racconto della vita di Theodore Bundy, assassino seriale definito da uno dei suoi stessi avvocati difensori ”la precisa definizione del male”.
Cosa c’è da aspettarsi, allora, da un film che si promette di raccontare la storia di un uomo colpevole di almeno 30 omicidi? Un thriller struggente, una pellicola splatter, un misto di orrore e disgusto per la follia umana?
Niente di tutto questo. ”Ted Bundy. Fascino Criminale”, diretto da Joe Berlinguer, ha la piega del film drammatico d’amore, con tratti più mistery che thriller. Infatti, il punto di vista scelto è quello di Elizabeth Kloepfer, fidanzata storica del criminale americano- madre single, incontra Bundy in un pub e inizia a condividere una vita intera con lui, credendo fino all’ultimo alla sua innocenza. Interpretata da Lily Collins, è un personaggio incredibile, forte e fragile allo stesso tempo, simbolo di una cecità amorosa così travolgente al punto da porre lo spettatore nella stessa identica posizione della donna. Punto forte del film è infatti la completa immedesimazione nella protagonista, il continuo nascere di dubbi sulla posizione dell’amato, il non voler credere alla sua colpevolezza per quanto ogni prova sia schiacciante, la consapevolezza di conoscere un uomo che in realtà non si conosce affatto.
Ciò che fa paura, l’intrigo che fa restare svegli la notte, non è la brutalità degli omicidi che condannarono Bundy alla sedia elettrica, ma è il ”lato buono” dell’uomo. Zac Efron, alla sua prima esperienza nel genere, riesce a restituire un’umanità alla ”precisa definizione del male”, aprendo le porte ad una riflessione quasi scomoda: com’è possibile che un brillante e affascinante studente di giurisprudenza sia stato capace di commettere tali atroci delitti?
Il ”serial killer standard” non può avere un identikit. Ognuno di noi può improvvisamente perdere la ragione e sfogare la parte animale che tanto ci sforziamo di sopprimere. Questo non significa che siamo tutti assassini seriali, ma che lo siamo in partenza: eppure, tocca a noi scegliere da che parte stare.
Questo è il messaggio finale di un film insolito, inaspettato anche per chi era già a conoscenza della storia di quest’uomo, arricchito dalle immagini reali del processo, trasmesso in diretta nazionale per la prima volta nella storia. Un racconto che lascia l’amaro in bocca e i brividi sotto pelle; una storia di concreti mostri che, tra pochi giorni, approderà nelle sale italiane, pronta a farci interrogare su chi siamo e cosa diventeremo.
Irene Mascia