Ero stata mandata, dallo studio legale dove esercitavo in qualità di socia, ad un convegno di studio il cui tema era “Giurisprudenza e femminicidio”. La location era in una bella città d’arte, famosa in tutto il mondo, erano convenuti giuristi da tutta Europa. Ai colleghi soci, tutti uomini, non era parso vero togliersi di torno l’unica gonnella dello studio che avesse voce in capitolo. Tutti lì, a sollecitarmi, vai, aggiornati chi meglio di te, può farlo, è la tua specializzazione. Sono andata. Il convegno, per la novità dei contenuti e le tesi proposte, era affascinante come un pezzo di stoccafisso esposto davanti alla bottega di un alimentare. Dopo due giorni di doverosa presenza, decisi di godermi la città, davvero magnifica, anzi mi riproposi di trascorrerci anche il fine settimana, sarei rientrata a casa il lunedì.
Mi trovavo seduta ad un tavolino all’aperto di un locale molto raffinato, ubicato in un’elegantissima piazza della città in questione, magnifica nella sua bellezza. Pensavo con tristezza che la pacchia era quasi alla fine. Di lì a poche ore sarei tornata alla solita vita; la bella vacanza, fuori programma, il giorno successivo sarebbe finita. Una risata cristallina mi distolse dall’aperitivo che stavo centellinando, voltando il capo vidi al tavolo vicino Laura Taverne. Laura è una collega di Marsiglia, molto impegnata nella difesa dei diritti civili, conosciutissima nella sua nazione. Era in compagnia di un uomo dai capelli brizzolati e dall’aria molto distinta. Mi fu presentato come Ugo Barca, uno psichiatra, anche lui un transfuga dell’inutile convegno. Fui invitata al loro tavolo, così divenni spettatrice del loro discorso. Laura sosteneva che l’amore è il motore del mondo, mentre Ugo pur riconoscendo la centralità dell’amore nella vita delle persone, affermava che alla fine funziona assai male e porta solo dolore. Laura ribatteva che l’amore è la vita stessa. Ugo la contraddiceva sostenendo che la vita era sofferenza a causa dell’amore. Supportava le sue tesi, lo psichiatra, con questo ragionamento: “tutti gli esseri viventi si accoppiano in funzione di una logica che potremmo definire amore per comodità di ragionamento. Una quercia non può amare un pioppo, così come una lumaca non amerà mai un gargarozzo. Nemmeno una gazzella, un elefante o un coccodrillo, o un pitone. Detto questo, cosa succede all’uomo?” Laura ribatteva che l’uomo si innamora e si illumina di questo sentimento. Ugo rispondeva che più d’illuminarsi si rendeva la vita infelice, ed argomentava: “ci sonno uomini che s’innamorano di altri uomini, donne che s’innamorano di uomini che hanno trentanni più di loro, uomini che s’innamorano di donne che non corrispondono il loro sentimento, uomini sterili che ambiscano a legarsi a donne desiderose di maternità, donne che amano altre donne. Si può continuare all’infinito, certo è che l’amore nell’uomo provoca quasi sempre sofferenza, pur considerando le coppie felici che sicuramente esistono”.
Era per me giunta l’ora di congedarmi, rientrando in albergo pensai a quel che avevo ascoltato e cominciai a riflettere: il sano si innamora del malato, l’entusiasta dell’indifferente, il cretino dell’intelligente, l’amorevole dello scontroso. Quando giunsi in albergo, il portiere mi chiese se stessi bene, a suo dire ero molto pallida. Il giorno successivo sono partita e ritornando alla solita routine, mi tornava in mente quel discorso tra Laura ed Ugo. Come dire, l’istinto e la ragione.
Caro amico di penna, il piacere di scriverti si rinnova ogni qual volta mi capita qualcosa di inusuale che mi spinge a riflessioni. Grazie e alla prossima.
Salutami chi vuoi
Ruja Mar