Corsi e ricorsi storici sono eventi cadenzati che si ripetono nel tempo e ciò può accadere anche per le leggende, purtroppo.
Oggi ve ne raccontiamo una di circa mille anni fa.
Correva l’Anno Domini 1011, a quel tempo nel Ducato di Napoli si svolgevano le elezioni, tutti i cittadini, senza nessuna eccezione, dovevano votare per scegliere un Borgomastro che amministrasse il Ducato per i 4 anni successivi. Uno dei candidati era un giovane sceriffo che per partecipare alle elezioni diede le dimissioni. Il popolo, vedendo in lui la speranza di un miglioramento, lo elesse. Si racconta che l’ex sceriffo diventato Borgomastro festeggiò tutta la notte facendo sventolare il vessillo del casato che conteneva il suo stemma rappresentato da una mazza ferrata arancione.
Nacque così la prima rivoluzione popolare capitanata da quel giovane Borgomastro, che con la sua famosa mazza ferrata promise alla gente di “scassare” tutto ciò che si fosse opposto come ostacolo al benessere del popolo.
I 4 anni passarono in fretta, ma tutto il cambiamento annunciato il popolo non lo avvertiva, l’unica novità era quella pista riservata a coloro che, non potendo permettersi un cavallo veloce, circolavano con l’asino molto più lento; quindi il popolo, nella speranza di veder soddisfatte le promesse ricevute, decise anche per i successivi 4 anni di rieleggerlo Borgomastro.
Ma il secondo mandato fu più disastroso del primo, infatti, il Borgomastro, permeato da un senso di onnipotenza, perse ogni misura e si proclamò come nuovo Re Mida, ma, al contrario di questi, tutto ciò che toccava si trasformava in cenere e non in oro.
Per far quello si attorniò di una squadra di “signorsì” pronti ad assecondare ogni sua iniziativa e di un comandante di vespasiano che era il suo più fido e malvagio consigliere, confrontandosi con un’opposizione in Consiglio Ducale che lo contrastava fino al limite, oltre il quale si poteva mettere in discussione la tenuta del Consiglio per non correre il rischio di tornare ad un voto che sicuramente non li avrebbe visti riconfermati. Tutto ciò a danno dei napoletani e degli abitanti nella cinta delle mura dell’area metropolitana.
A quel punto lo sfacelo del Ducato e della sua cinta metropolitana era sotto gli occhi di tutti, anni di amministrazione inesistente generavano un dramma non più gestibile dalle abili bugie di chi doveva amministrare con i fatti e non solo con le promesse.
Per verità storica bisogna ricordare che il Borgomastro nell’anno della sua prima elezione ereditò una situazione pesante, con un deficit che si aggirava sugli 850 milioni di ducati, ma la sua politica “creativa” aumentò il buco ad oltre i 2,5 miliardi di ducati, ed è sempre con molta creatività che nel 1016 avvenne l’omissione di circa 250 milioni di ducati di debiti non riportati nella pergamena di bilancio, così come puntualizzò una sentenza della Corte dei Saggi Contabili che congelò gli atti di spesa del Ducato di Napoli.
Ma la allora situazione non era solo figlia di una questione economica, un proverbio più antico del Ducato stesso recitava già allora che senza soldi non si recitano messe, ma il Borgomastro non solo le recitava ma si auto convinceva che erano la realtà, ecco spiegate alcune “visioni” come le piste asinabili, la moneta, non più il ducato, ma quella del popolo, l’arredo urbanistico sulla via del mare, il Ducato di Napoli capitale del trasporto popolare nel 1019. Visioni che contrastavano con i fatti che dicevano che i livelli di servizi erano preistorici nonostante le tasse che pagavano i napoletani erano tra le più alte. Visioni ancora una volta espresse attraverso pergamene di bilanci, come nel caso dell’azienda di carrozze di proprietà del Ducato di Napoli ADM, Azienda Ducale della Mobilità, che nel 1017 riusciva a chiudere una pergamena di bilancio con una perdita di esercizio di poco più di 1 milione di ducati a fronte dei circa 36 milioni di ducati di passivo dell’anno precedente, nonostante una dichiarazione di impossibilità di giudizio da parte della corte dei saggi revisori, incaricata ad esprimere una relazione sulla revisione contabile del bilancio di esercizio, che non certificò la coerenza e la conformità rispetto alle norme di legge allora vigenti. Un’altra azione di “creatività”.
Ma l’opera del “Re Mida” iniziò ad estendersi anche sulla cinta metropolitana. Infatti, anche la storica azienda di carrozze per il trasporto extraurbano fu portata sull’orlo del fallimento, con un servizio quasi fermo a causa della mancanza di paglia che vedeva morire i cavalli di giorno in giorno e con i cocchieri senza stipendio. L’unico che sembrava non rendersene conto era proprio il Borgomastro che continuava a dichiarare con i suoi menestrelli di avere una soluzione in tasca.
Nel frattempo però, nonostante tutto andasse a rotoli, la maggioranza in Consiglio Ducale invece di pensare come risolvere i problemi dei cittadini napoletani, combatteva una guerra interna alla ricerca di poltrone con la regia del Borgomastro che continuava a gestire il consenso cercando di accontentare tutti anche attraverso l’affidamento di compiti ai consiglieri ducali, che, per legge avrebbero dovuto vigilare sull’operato della Corte Ducale e quindi sui compiti assegnati per delega ai vari nobili della Corte Ducale, con il risultato che i controllori che dovevano controllare controllavano se stessi, una follia.
Promesse, visioni, populismi, malagestio, il risultato di quella storia era sotto gli occhi di tutti e quello fu un fatto.
Questa favoletta narra le vicende di un uomo che voleva “scassare tutto”, di un ex sceriffo diventato Borgomastro che solo con le parole, senza fatti, veramente “scassò la sua città”. Questa storia richiama alla mente una frase di un celebre film in cui il protagonista appena condannato gridava al poliziotto “sei solo chiacchiere e distintivo”, peccato che il film sia stato proiettato diverse centinaia di anni dopo, perché i napoletani dell’epoca avrebbero potuto rivolgersi all’ex sceriffo dicendogli che era solo chiacchiere, senza più distintivo.