Ti riscrivo e quello che mi spinge a farlo è uno strano miscuglio di sensazioni. Ho la necessità di comunicare, ma non sopporterei di sentire la mia voce, che c’è di meglio di una lettera? Cartacea poi, un’azione che, come è di moda oggi dire, è vintage! Pensa, tutte le donne del quartiere, me compresa, quando passano sospirano e si fermano a guardarlo senza voler apparire. Vederlo camminare, ma che dico, vederlo incedere è un vero spettacolo. Il fisico ben proporzionato, non altissimo ma giusto, anche nel passo né rigido né troppo molle, una dosata miscela tra i due estremi. Quello che colpisce come una martellata sono soprattutto i suoi occhi, di un verde acceso, se ti fissa ti magnetizza, tutte noi parliamo di quello sguardo. Non c’è adolescente, giovane donna o signora saggia e natura nel circondario che a quel guardare non abbia avuto un brivido, sia pur tenue. Un giorno alle cose raccontate, si aggiunse la ciliegina sulla torta.
Si mise tutto bello lustro a passeggiare con ai lati due belle donne forestiere. Non erano della zona, belle ed armoniose come lui che nonostante fosse circondato da tanto bel vedere, riusciva comunque ad avere maggiore attenzione in funzione degli smeraldi incastonati in fronte. Da quel giorno lo soprannominarono il Califfo. Lui sa benissimo che tutte le donne del quartiere lo sbirciano, fa finta di non curarsene ed accetta gli omaggi con sussiego signorile, senza spocchia. Da quando poi questa storia del califfo ha preso piede, nessuno lo chiama più col suo nome. Lui fa finta di niente quando si sente chiamare califfo, come se la cosa non lo riguardasse, quanti ne conosco che farebbero carte false per avere un soprannome così! Bisogna nascere con la stella, ma forse meglio sarebbe nascere con gli occhi come quelli del califfo. Sembra a me strano che delle donne intorno a lui non se ne parli, eppure sono esemplari capaci di rendere lustro alla categoria. Ma si sa, il primo nemico della donna è la donna!
Per tornare al nostro amato califfo, va detto che ha conquistato il cuore di tutte noi, anche se quando lo si chiama fa l’indifferente, solo una fra noi è fortunata, ovunque lui si trovi lascia tutto, corre da lei. Tutte noi la invidiamo, sarà perché lo chiama con il suo vero nome. Quando succede, Ibrahim, stiracchiandosi, abbandona la postura della sfinge e con plastiche movenze si avvicina al cibo. Con quel pelame nero, lucido, così uniforme, con grazia si accinge al pasto, e poi quelle pozze verdi degli occhi, di una bellezza assoluta. Nella bellezza assoluta, c’è l’ingiustizia del mondo uno spiraglio, un pertugio, attraverso il quale spiare cosa il mondo avrebbe potuto essere e non è.
Affettuosamente Miramar!