Il Sud non si salva più nemmeno con le Infrastrutture
Il ritardo programmato del SUD non si risolve con leggi ordinarie, né con deboli iniziative mediate con i partiti che affondano palesemente le loro radici nel Nord del Paese. La desertificazione demografica con la migrazione di giovani e laureati (200.000 in vent’anni dal SUD e ben 54.000 in dieci anni in Campania) è il segnale che impone una nuova visione del Sud del Paese, per non dover più e solo rivendicare investimenti per recuperare lo scandaloso gap infrastrutturale determinato negli anni da una politica colpevole di non aver tutelato una parte del Paese, nemmeno quando era autorevolmente rappresentata in Parlamento e al Governo. Si tratta invece di prendere atto che la qualità della vita al Sud, sempre agli ultimi posti in tutte le rilevazioni statistiche, non può aspettare i tempi delle realizzazioni di grandi e piccole opere, che, quando completate, potrebbero rivolgersi veramente al nulla e al deserto, una condizione drammatica che richiede urgenti e immediate misure che arrestino fughe di giovani, vecchi e bambini a cui non sono garantiti i Servizi indispensabili per una Comunità nel terzo millennio.
Il taglio, la qualità e sempre più spesso finanche l’azzeramento dell’offerta dei servizi con in testa TRASPORTI, SANITÀ, ISTRUZIONE sono gli elementi che stanno spopolando questa parte d’Italia, rendendo impossibile la vita nei piccoli centri, letteralmente abbandonati e destinati alla chiusura e all’abbandono, con città capoluogo che non sono nelle condizioni di accogliere i nostri migranti, visto come le città del SUD sono sempre agli ultimi posti nelle graduatorie di vivibilità e quindi assolutamente fuori da ogni circuito attrattivo per le nuove generazioni. Nei paesi con meno di 5.000 abitanti in Campania vive l’11% della popolazione a fronte di percentuali superiori al 30% al NORD, con punte che superano il 40% nel Nord Est; questo spaccato è frutto, palesemente, di accentramento di potere e di allocazione di risorse che si perpetua da 40 anni e che ha visto diversi governi impegnarsi per recuperarne lo scandalo, senza mai farne veramente una scelta strategica per l’economia dell’intero Paese. In altre realtà della UE, preso atto della marcata differenza tra parti dello stesso Paese (vedi la Germania), si è lavorato ed ancora lo si fa per riallineare ciò che la politica e la storia avevano squilibrato, ora, con tutte le differenze sostanziali del caso che hanno generato drammi inenarrabili, si può veramente considerare economicamente la ex DDR così diversamente distante dalla RFG, di quanto non lo sia il nostro SUD dal resto del Paese?
A questo interrogativo non bisogna necessariamente rispondere con più o meno indignazione e rabbia, ma rilevare che questa del SUD del Paese è un’emergenza DEMOCRATICA che non va paragonata, né tantomeno rimandata ad altre memorie, ma fermamente affrontata e portata all’attenzione dei Parlamenti Nazionale ed Europeo perché la si affronti per quello che è e non per quello che si vuole far credere che sia. Questa parte del Paese è la frontiera di un’Europa matrigna e distratta, ma che non espone tutti in egual modo, e se è vero che l’Italia è stata lasciata sola, il Sud è stato totalmente abbandonato e devastato più e meglio di quanto non lo sia il resto del Paese, un po’ come succede per l’Italia con i Paesi del nord Europa. In un periodo dove neanche la teoria della post-democrazia sembra essere più nelle condizioni di offrire chiavi di letture sociologicamente attendibili senza arrivare alla presa d’atto di un populismo dilagante, sostenuto sostanzialmente dal sentimento indotto di Paura, vuoi dell’immigrato, vuoi dell’Europa, o di ogni altra forma di diversità che possa limitare gli interessi soggettivi, si ha esatta la percezione di essere oramai andati oltre anche le caratteristiche del Leaderismo più sfrenato, che concentrava nelle élite il potere decisionale a discapito di ogni protagonismo collettivo bollato come arretrato, vecchio e operato da “gufi”e che è costato caro al Paese e ai suoi sostenitori.
Un Paese frastornato e confuso tra racconto e realtà, tra mercato e diritti, con la percezione reale della riduzione e talvolta anche della negazione di diritti e garanzie civili, ha virato a favore di un sistema che boccia tutto, che con trasformismo e negazione dell’evidenza esasperati pone i suoi protagonisti come portatori di una rivoluzione che ha la sua essenza solo ed esclusivamente nell’addebitare responsabilità ad altri anche per quello che non si riesce a fare, che sembra essere sull’orlo di una deriva, se possibile, più che populista, lucida nella demonizzazione di ogni cosa e ogni persona che non rappresentano gli interessi del mondo elettorale a cui ci si è rivolti, insomma un’azione amministrativa distonica e fuorviante tra ciò di cui il Paese ha bisogno e ciò che invece si propaganda, con minacce di epurazioni, di espulsioni e quanto altro caratteristico nella storia di sistemi politici che non hanno avuto nessuna traccia di Democrazia.
In questo stato di cose, con questi connotati di regime politico, come è sempre successo, si allargano le differenze e chi sta indietro è destinato a stare peggio, questo è il destino disegnato al Sud che, non a caso, non è stato nemmeno nominato nel “contratto di Fitto di Governo” salvo poi dedicarci un Ministero! L’emergenza nazionale si chiama SUD e nonostante le ossessioni di una parte del governo è così che va affrontata in Europa e nel Paese, non si tratta di offrire un’altra paura ma solo di prendere atto che il Paese è diviso drammaticamente in due e più parti, e che c’è urgente bisogno che qualcuno si intesti questo dramma, con l’adozione e soprattutto con la realizzazione di un Piano Speciale per il SUD dell’Italia che è il sud dell’Europa. Un Piano per il Sud che non ripeta strade poi mai percorse, che dovrebbe partire da elementi economici di regolazione e determinazione dei livelli di servizio efficaci e sicuramente diversi da quanto richiesto e percorribile per altre condizioni economiche in altre parti del Paese. I costi standard e le caratteristiche della sostenibilità economica dei servizi non possono essere calati indistintamente e ugualmente su un territorio che uguale non è; se si vuole far ripartire e ripopolare il Sud si ridiano le occasioni scippate, si ricreino le pari opportunità e si esaltino e sostengano le occasioni per restare, monitorando e controllando “direttamente” la gestione delle società ed aziende di servizio, per evitare che la politica più “ LEGAta“ ad altri interessi territoriali dica che non servono più nemmeno le infrastrutture nel DESERTO dei diritti del SUD. Sostenere la ripresa del Sud deve essere un’esigenza continentale, per fare quell’Italia che la gente del Sud non può più essere costretta a ricercare al nord o in Paesi lontani.