Il populismo, un esercizio che dilaga oramai ad ogni latitudine, sembra essere la bandiera dietro cui troppi ritengono si possano celare tutte le nefandezze e i limiti che sono propri delle iniziative intrise di strumentalizzazioni e demagogia, che pagano in larga misura quando si tratta di scaricare ed addebitare responsabilità, o per ergersi ad antisistema e contro a prescindere, ma che palesa tutti i suoi limiti quando si tratta di passare dalla protesta alla proposta e dalla piazza ai palazzi.
Mobilitare contro l’élite culturale, politica o mediatica può essere utile per accreditarsi il dissenso, strategico e finanche legittimo per intercettare un disagio sociale ed anche esercizio perfino democratico e responsabile, se non ci si fermasse alla sua gestione tout court senza superare la soglia verso la responsabilità per dover attrezzare risposte ai bisogni ed ai limiti rilevati su cui si è costruito il consenso populista. Il populismo nella sua accezione originale e positiva si rivolge al popolo e ai suoi bisogni, ma assume una sua caratteristica diversa quando lo si utilizza per fini di accentramento di potere che si vuol far derivare da un diffuso sentire, indipendentemente dalla collocazione politica della sua genesi, la differenza è tutta oggettivamente su quali riscontri si danno al popolo, sapendo che quando se ne vogliono veramente interpretare i bisogni non ci si può fermare alla piazza, che quando si riceve un mandato non basta più rilevare le altrui responsabilità, anche perché con il mandato popolare ricevuto si è diventati responsabili di ciò che si fa e non già di ciò che si dice gli altri non abbiano fatto.
Questo passaggio dalla protesta alla proposta e alla sua gestione se non viene fatto e percepito dai cittadini determina una condizione di disorientamento e confusione istituzionale in cui, paradossalmente, proprio quelli che hanno creduto pagano per primi e a caro prezzo le legittime scelte fatte nella speranza di un cambiamento, che invece si ferma troppo spesso sul ciglio di un marciapiede per non saper abbandonare la piazza e le piazzate.
L’amministrazione di una Città , così come quella di un Paese, richiede competenza, solerzia, abnegazione e soprattutto responsabilità; per farlo bisogna assegnarsi obblighi che non si possono scaricare sistematicamente su altri, il refrain secondo cui le colpe di oggi sono di quelli che ci sono stati, non solo non risolvono e non spiegano, ma irrigidiscono e ingrandiscono i problemi che non rivendicano padri ma risolutori. Napoli, così come altre grandi città nel Paese, è sempre più in balia di ogni dunque, sono negate le condizioni di un livello minimo di vivere civile, quale complesso dei rapporti e delle norme su cui si fonda la convivenza tra i cittadini, vittime di un’amministrazione che, provando sempre a metterla sulla rissa continua a scendere in piazza contro tutti, manifesta contro il Suo debito, manifesta contro la Regione, contro il Governo che non cancella il Suo debito, contro tutti dimenticando che dopo otto anni ne è diventata parte attiva, protagonista e responsabile esattamente come quelli contro cui ha puntato il dito e la bandana mai dismessa.
La qualità e la bontà dell’azione amministrativa di Napoli è sotto gli occhi di tutti, il livello dell’offerta dei servizi è ai minimi storici per quantità e qualità, e se si dovesse far riferimento alla soddisfazione dei cittadini e dei turisti li si potrebbero considerare sostanzialmente azzerati.
L’evanescenza dall’azione amministrativa si rileva in ogni luogo o contesto cittadino, ogni evento che riguarda la città ne segna i limiti piuttosto che la potenzialità per finire sempre a segnare con il segno meno la capacità di aprirsi al contesto internazionale che gli è consono.
In un momento storico in cui i limiti e la presunzione della politica continuano a regalare ampi spazi al più becero dei populismi, bisogna che si ricostruiscano riferimenti politici e istituzionali, partendo dalla rilevazione vera delle condizioni di una comunità sempre più isolata e fuori da ogni sistema di relazione istituzionale, e se ci si limita a lanciare allarmi al Capo della Stato per il rischio di default, allora bisogna prendere atto di un fallimento, che non consiglierebbe altri proclami di candidature ma solo una presa di coscienza e di richiesta dell’oblio per liberare la città dal qualunquismo che non si può in nessun caso riproporre su scenari diversi magari nazionali o Regionali…….abbiamo già dato grazie.