È innegabile che i sistemi portuali italiani rappresentino dei nodi strategici aperti al mondo, caratterizzati da interconnessioni che investono sia i territori nazionali e internazionali, sia i contesti urbani e i territori dell’entroterra. L’associazione RETE (Associazione Internazionale per la Collaborazione tra Porti e Città), con CNR IRISS, ha organizzato un ciclo di webinar per promuovere un dialogo costante tra mondo della ricerca, istituzioni, imprese e cittadini per fornire spunti di riflessione sul patrimonio urbano-portuale anche a supporto delle scelte della politica sulla riforma della governance portuale. Il tema principale al centro del dibattito è quello dei conflitti sociali e culturali che interessano i porti e soprattutto la loro interazione con le città ed il ruolo svolto in questo contesto da Enti come Regione, Comuni e Autorità di Sistema Portuale. Il primo seminario introduttivo, tenutosi lo scorso marzo, ha affrontato, in particolare, il tema delle sfide geoeconomiche, sociali e giuridiche delle città porto, soprattutto dopo la pandemia e nell’attuale contesto interessato dalla guerra russo-ucraina.
Sono intervenuti al dibattito, moderato da Massimo Clemente (Direttore scientifico di RETE) e Barbara Bonciani (Assessora al porto e all’integrazione porto città del Comune di Livorno), Olimpia Ferrara (Economista dei trasporti di SRM – Gruppo Intesa San Paolo), Ivano Russo (Direttore Generale di Confetra), Mario Sommariva (Presidente AdSP Mar Ligure Orientale) e Stefano Soriani (Economista, professore ordinario presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia). Dagli argomenti trattati è emerso, innanzitutto, che negli ultimi decenni abbiamo assistito al primato dell’economia sulla politica, ad una diplomazia fredda in molti contesti e a rapporti commerciali sempre più importanti. Oggi, invece, sia per la pandemia sia per l’attuale crisi geopolitica, abbiamo la sensazione che il nostro mondo stia andando a pezzi. Siamo innegabilmente di fronte ad una “rivoluzione spaziale” che non sappiamo dove ci porterà e stiamo assistendo ad un periodo di riduzione di prospettiva di crescita globale con l’aumento dell’inflazione. Ed è innegabile che non si conoscono quali saranno le ricadute sui mercati di riferimento anche per i trasporti marittimi e per i porti. Inoltre, proprio l’attuale e drammatico conflitto bellico, ha fatto sì che l’opinione pubblica sia sempre più disposta a barattare la crescita economica con la sicurezza. I porti stanno diventando delle fondamentali infrastrutture per la sicurezza nazionale.
Tuttavia, in un contesto così incerto da un punto di vista geopolitico e così problematico per la ricentralizzazione della politica, le città portuali possono continuare a svolgere un ruolo fondamentale come ambasciatori di sviluppo e di pace, di relazioni culturali, economiche, marittime e di nuove imprenditorialità. Porti e città portuali devono continuare a sviluppare le loro capacità come laboratori di innovazione. Possono farlo attraverso tre sfide: 1) la sfida sociale – rafforzando le politiche di equità, di formazione e di integrazione urbana; 2) la sfida green – sviluppando politiche di transizione energetica, la decarbonizzazione e un miglioramento del clima; 3) la sfida digitale – migliorando non solo il rapporto tra Pubblica Amministrazione e utenza, ma anche la gestione e i flussi delle merci. Fondamentale diventerà per i porti qualificarsi come hub energetici: le energie rinnovabili, le tecnologie innovative nella gestione delle infrastrutture portuali, il GNL, l’idrogeno, saranno sempre più importanti perché salveranno l’economia, la nuova imprenditorialità. Bisogna, pertanto, stare attenti affinché la crisi economica in atto non arresti questo processo di transizione ecologica. Infine, una riflessione va effettuata sull’industria italiana e sul suo sviluppo in ambito portuale. Nel nostro Paese, dopo la fine della grande industria di stato nei porti (Fincantieri o Finmeccanica), dalla seconda metà degli anni ’90 è iniziato il cosiddetto “divorzio” tra la logistica e la produzione reale di ricchezza. Proprio la logistica, infatti, in fase pre covid, tra il 2008 e 2018, era cresciuta tantissimo con un PIL nazionale invece stagnante. La spiegazione di questo fenomeno è che purtroppo nel nostro Paese non c’è nesso tra logistica/trasporti ed economia reale.
Per sanare questo gap sembra sempre più necessario far crescere la retro portualità con fabbriche e industrie, rendendole degli hub di lavorazione di ultimo miglio (ad esempio nello storico settore automotive). Così, attraverso una nuova politica industriale, potremmo finalmente avere una logistica che crea ricchezza, occupazione e che può attrarre nuovi centri di ricerca come nelle principali città portuali internazionali. Il PNRR può rappresentare la leva per ricostruire il Paese dalle sue fondamenta. Ma occorre una nuova fase di intervento e di investimento pubblico nell’economia con una funzione di riequilibrio sul mercato anche da un punto di vista sociale e salariale. Occorrono nuove politiche pubbliche, regolatorie, industriali e fiscali. In buona sostanza, è necessario il primato di una buona politica sull’economia del caos.