In questi ultimi mesi camminando per Napoli è stato facile imbattersi in cartelloni pubblicitari di dubbia eleganza che, se da un lato hanno sicuramente attirato l’attenzione di molti cittadini, dall’altro potranno avere urtato la suscettibilità di tanti altri. Frasi, slogan in dialetto napoletano che in modo alquanto volgare esortavano a diventare meno pigri e ad iscriversi in palestra o che auguravano una brutta estate a chi avesse abbandonato i propri animali a quattro zampe. E ancora, cartelloni pubblicitari che suggerivano in modo alquanto volgare e singolare come pulire i nasini sporchi e colanti dei nostri bimbi. Pubblicità a volte allusive, altre becere, a volte simpatiche altre volte urtanti. Ma nessuna, purtroppo è passata inosservata. Effettivamente le pubblicità con slogan volgari restano impresse nella memoria e sono aumentate negli ultimi tempi. Ma davvero funzionano e fanno vendere di più? Questo discorso, che di per sé può apparire banale, si inserisce nel complesso e controverso tema della volgarizzazione della pubblicità che suscita dibattiti ormai da decenni.

Da un lato, sicuramente, la pubblicità è un riflesso della società in cui viviamo e, quindi, la sua evoluzione verso forme più esplicite e provocatorie è inevitabile. Dall’altro, è innegabile che l’eccessiva volgarità spesso può urtare la sensibilità di molti e contribuire alla banalizzazione di alcuni temi. Senza alcun dubbio la pubblicità volgare riesce a catturare l’attenzione e a rimanere impressa nella mente dei consumatori, aumentando l’efficacia della comunicazione. Le pubblicità più provocatorie, inoltre, possono scatenare discussioni e riflessioni su temi importanti, come la sessualità, il corpo, i ruoli di genere. Tuttavia, da un’ampia fetta di consumatori la volgarità, spesso, può essere percepita come offensiva, soprattutto quando si riferisce a temi delicati o quando utilizza stereotipi negativi. Inoltre, l’uso eccessivo di contenuti volgari può banalizzare alcuni temi davvero importanti. I giovani, purtroppo, sono forse i più esposti a questi messaggi pubblicitari e, pertanto, sono senz’altro influenzati negativamente dai contenuti volgari sempre più spesso diffusi. È chiaro che in un mercato sempre più competitivo, le aziende sono costrette a trovare soluzioni sempre più originali e d’impatto per distinguersi dai concorrenti e la volgarità può essere utilizzata in modo strategico per raggiungere specifici target di pubblico. Tra l’altro la società è in continua evoluzione e quelli che in passato erano considerati dei tabù possono diventare normali oggi. Eppure, sebbene la libertà di espressione è un diritto fondamentale, il suo esercizio non può ledere la dignità umana e incitare comportamenti sbagliati. Le aziende dovrebbero adottare un approccio sensibile e rispettoso delle diverse culture, mentre i governi e le autorità di regolamentazione dovrebbero trovare un equilibrio tra la libertà di espressione e la tutela dei consumatori. Un dato importante, infatti, ma che non si conosce, è se molte di queste pubblicità siano state o meno censurate dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) l’Ente che regolamenta il settore. Lo IAP, infatti, è l’ente che riunisce i pubblicitari le aziende e i media e vigila affinché l’informazione commerciale sia onesta veritiera e corretta: l’art. 9 del Codice di Autodisciplina vieta, espressamente, l’uso di affermazioni o rappresentazioni indecenti volgari o ripugnanti oltre quelle di violenza fisica o morale. Ma sembra che pochi ne siano a conoscenza e lo applichino.

Un altro problema di tipo metodologico è che sussiste una vera e propria difficoltà nella definizione di “volgare”: infatti non esiste una definizione legale precisa di “pubblicità volgare”. La valutazione della volgarità è spesso soggettiva e dipende dal contesto culturale e sociale in cui ci si trova. E forse, in un mondo ormai predominato da violenze, da guerre e da brutture di ogni tipo, si potrebbe puntare verso messaggi positivi e ispiratori all’interno delle campagne pubblicitarie. Un dato di fatto, ormai, è che i consumatori sono sempre più alla ricerca di esperienze autentiche e significative. Proprio per questo andrebbe diffusa, anche nella pubblicità, la cultura del bello intesa in tutte le sue forme (estetica, emotiva, simbolica), come strumento per creare messaggi pubblicitari efficaci e memorabili. Non soltanto ciò che è volgare ma anche la bellezza cattura lo sguardo e l’interesse del pubblico, rendendo più probabile che un messaggio pubblicitario venga notato e ricordato. Non dimentichiamo che le immagini belle evocano emozioni positive, come gioia, serenità, desiderio, che possono creare un legame emotivo tra il prodotto e il consumatore. Inoltre anche la bellezza può essere utilizzata per valorizzare le caratteristiche di un prodotto o di un servizio, rendendolo più desiderabile. Ne deriverebbe un messaggio positivo nella pubblicità che potrebbe rappresentare un potente strumento di comunicazione creando un legame emotivo tra il brand e il consumatore. Senza tralasciare che, in un mercato saturo di violenze e volgarità, un messaggio positivo potrebbe aiutare un brand a distinguersi dalla concorrenza. Anche una pubblicità positiva, infatti, può rappresentare una potente opportunità per le aziende di creare un impatto duraturo e significativo sulla società e, perché no, contribuire a creare un mondo migliore. La proliferazione di messaggi pubblicitari volgari, in conclusione, può, anzi, dovrebbe rappresentare una sfida per la nostra società. È necessario un intervento deciso da parte delle istituzioni per regolamentare questo fenomeno e proteggere i consumatori, in particolare i più giovani. Allo stesso tempo, è fondamentale che le aziende assumano una maggiore responsabilità sociale e investano in forme di comunicazione più etica e rispettosa. Solo attraverso un impegno congiunto potremmo costruire un futuro in cui la pubblicità sia uno strumento di crescita e di progresso, anziché di degrado culturale.