Gare si o gare no, proroghe si o proroghe no: è ormai da tanti anni, forse troppi, che in Italia si assiste impotenti ad un infinito balletto tra il Governo e l’Europa sul tema scottante delle proroghe delle concessioni balneari. Volendo utilizzare una metafora sportiva potremmo azzardare di trovarci di fronte ad una vera e propria melina con l’intento ostruzionistico di mantenere lo status quo e temporeggiare. È infatti, da quasi quindici anni, che in Italia le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per attività ricreative e turistiche sono prive di una legge che definisca le modalità per rinnovarle nel rispetto della concorrenza richiesta dalla direttiva europea Bolkestein e senza l’automatico rinnovo agli stessi titolari delle concessioni. Al contrario, da quando la direttiva è stata recepita nel 2010, i governi di tutti i colori politici che si sono alternati (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte, Draghi) hanno preferito rinviare una soluzione definitiva.
Anche l’attuale governo, in verità, sembra più incline a voler tutelare la continuità dei concessionari storici quanto a stabilire i criteri per poter espletare nuove procedure di affidamento, tant’è che la scorsa estate ha istituito un “Tavolo interministeriale” per lavorare a una mappatura delle coste italiane. Gli articoli 11 e 12 della direttiva Bolkestein, infatti, prevedono la necessità di ricorrere alle gare solo in caso di “scarsità della risorsa naturale”, che proprio secondo i dati elaborati nella mappatura non sussisterebbe. Il lavoro svolto dal Tavolo tecnico, infatti, ha evidenziato che solo il 33% dei litorali italiani risulta occupato da concessioni, mentre il 67% è libero. L’Italia, quindi, sarebbe piena di spiagge libere e le gare si potrebbero fare solo per quelle. Purtroppo è risultato evidente, anche all’Europa, che il fine sotteso alla mappatura era quello di dimostrare la possibilità di garantire la concorrenza richiesta dalla Bolkestein dando nuove concessioni solo sul demanio libero per non toccare le imprese già esistenti. Tant’è che la relazione ha considerato tutto il litorale, a prescindere dalla sua morfologia, comprese quindi scogliere e zone montuose su cui sembrerebbe alquanto complesso installare uno stabilimento o, comunque, dar vita ad una qualsiasi attività imprenditoriale.
Tuttavia il lavoro effettuato dal Tavolo interministeriale è, ad oggi, incompleto non essendo stato calcolato il demanio lacuale e fluviale. Inoltre, non è stato ancora deciso se la scarsità di risorsa debba essere calcolata su base locale o nazionale. Insomma ci troviamo in un clima di profonda incertezza. Incertezza che, senza alcun dubbio, è anche normativa: ad oggi l’unico dato certo è la legge 118/2022 approvata dal governo Draghi, che adeguandosi “timidamente” alla normativa europea sulle concessioni del settore turistico ricreative, imponeva la scadenza dei titoli concessori al 31 dicembre 2023 e le gare entro dicembre 2024; la legge, tuttavia, rimandava a decreti attuativi, mai emanati, per definire i criteri delle nuove procedure concorrenziali. A complicare ancora di più l’“impasse” è stato il parere motivato della Commissione europea del 16 novembre scorso, nell’ambito della procedura di infrazione del 2020 (la terza) nei confronti dell’Italia, proprio per il mancato adeguamento alla direttiva Bolkestein. All’attuale Governo sono stati dati due mesi di tempo per rispondere ed evitare un’ennesima sanzione. Tuttavia, il governo Meloni nel cosiddetto Decreto Milleproroghe di dicembre scorso non ha fatto altro che rinviare ancora di un anno la scadenza delle concessioni al 2024, con il termine per le gare del 31 dicembre 2025. Tale scelta governativa è stata dettagliatamente giustificata nel comunicato finale del Consiglio dei Ministri del 28 dicembre in cui si legge che “è in corso una interlocuzione con la Commissione europea sui rilievi contenuti nel parere motivato” (nell’ambito della procedura di infrazione avviata nel 2020) per individuare “una soluzione che, in coerenza con l’ordinamento europeo, assicuri le necessarie certezze agli operatori economici e agli enti concedenti in merito all’affidamento dei beni demaniali marittimi”. Inoltre sempre nel comunicato le Amministrazioni competenti sono state formalmente invitate, in via prudenziale, a non assumere “iniziative disomogenee (procedure di gara), che potrebbero avere ripercussioni negative sul sistema economico e sociale legato alle concessioni per finalità turistiche e ricreative”.
Anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è intervenuto sul tema esprimendo perplessità sulla proroga decisa dal Governo alle concessioni per il commercio ambulante (anch’esse colpite dalla Bolkestein) e sottolineando l’urgenza di completare il quadro regolatorio per il rinnovo delle concessioni balneari.
Ma il Governo ha rilanciato ulteriormente e nel documento di risposta al parere motivato, inviato alla Commissione il 16 gennaio scorso, ha sposato la tesi della proroga tecnica fino a tutto il 2024 e non solo: fino al 2025 laddove gli Enti territoriali segnalino impedimenti oggettivi per concludere le procedure. Secondo il governo occorre completare il monitoraggio del Tavolo interministeriale sulla scarsità della risorsa naturale, che attesterebbe una presenza di spiagge libere sufficiente eventualmente a limitare le gare in tali tratti di costa. Quindi la possibilità di riordinare il settore e di procedere a procedure competitive esisterebbe, ma solo in una fase successiva al monitoraggio e solo per i tratti di spiagge non occupate.
Sta di fatto, quindi, che anche per quest’anno non cambierà nulla, ancora un rinvio: le gare si faranno il prossimo anno, anzi no, tra due anni. Intanto viene spontaneo pensare che anziché tentare di prolungare l’agonia di uno o due anni con una misura normativa così inconsistente sarebbe stato di gran lunga più proficuo lavorare da subito ad una riforma organica del settore.
È innegabile che, oggi, a causa dell’inerzia che contraddistingue il nostro “sistema paese” ad essere in difficoltà si trovino sia gli attuali concessionari che i nuovi imprenditori interessati ad investire, entrambi privi di certezze nel futuro; ma a trovarsi in difficoltà sono anche le Amministrazioni locali che si sono ritrovate a decidere in autonomia sul da farsi con i titoli concessori in scadenza. Molte Amministrazioni, infatti, come satelliti impazziti, sono partite in maniera disomogenea: alcune prorogando i titoli in scadenza, altre bandendo procedure concorrenziali inventandosi criteri selettivi.
Tuttavia l’attuale anarchia e l’assenza di una normativa nazionale univoca rappresentano un grande problema che potrebbero determinare il nascere di molti contenziosi da cui deriverebbe il blocco dell’intero settore. Sembra ormai chiaro a tutti, ma forse non lo è a chi è al potere, che l’unica strada trasparente da intraprendere non è rinviare la soluzione ma affrontare il problema. Il vero tema, infatti, non è più se fare o meno le gare quanto piuttosto come farle, fissando, altresì, dei criteri quanto più possibili omogenei, senza dimenticare l’eterogeneità della costa italiana con le sue specifiche realtà e le relative eccezioni. Ma vi è di più; vi è un altro aspetto di cui, “intenzionalmente”, nessuno parla: il settore turistico ricreativo non è rappresentato solo dai balneari che sono solo una parte delle imprese che occupano il demanio ad uso turistico ricreativo, eppure sembra che siano proprio i balneari a fare da traino per tutti.
In definitiva, in questo “clima nebuloso”, si spera che il lavoro del Tavolo tecnico, finalizzato a fissare dei criteri e a scegliere localmente le scelte da intraprendere, possa tornare utile. Ad oggi, comunque, l’unico dato sicuro è che più che di scarsità della risorsa potremmo parlare di scarsità di qualunque certezza.