Che gli effetti post pandemici avrebbero avuto una cassa di risonanza negativa a lungo termine in ogni settore economico e sociale, era un’inconfutabile certezza. Tuttavia l’auspicio nel periodo buio era quello che una simile paralisi globale potesse comunque servire a focalizzare l’attenzione sui problemi e con lungimiranza indurre a fronteggiarli con nuove strategie ed una rinnovata positiva reattività. A distanza di quasi due anni invece, l’amaro responso di evidenza mondiale è che, non solo non siamo stati capaci di apprendere nulla o quantomeno apprezzare maggiormente anche la più semplice banalità, ma addirittura abbiamo aggiunto criticità laddove diversamente c’era bisogno di decisioni migliorative ed attuative che andassero a scardinare almeno in parte le eclatanti falle a livello politico istituzionale.
Nella fattispecie in Italia, non ci si è preoccupati della necessaria predisposizione di diffuse e moderne infrastrutture materiali ed immateriali che andassero a rilanciare i principali settori produttivi ed in buona sostanza si è data una scarsissima attenzione all’incremento qualitativo di questi ultimi, con la palese conseguenza dell’inevitabile svalutazione dei costi di impiego del fattore lavoro. Da tali premesse emerge quotidianamente una crisi dei Lavoratori così imponente che sembra essere tornati indietro anni luce dal progresso e dalle conquiste avutesi nei secoli con le lotte sindacali. Basti pensare che lo scorso 29 settembre, si è scritta una delle pagine più nere per le Lavoratrici e i Lavoratori del comparto Handling aeroportuale.
A questi ultimi infatti, oltre al danno dei continui rimandi del rinnovo contrattuale che vanno avanti oramai da anni, è subentrata la beffa dell’essersi visti negare uno dei “Diritti” fondamentali sanciti dalla Costituzione Italiana ossia “scioperare” poiché il Governo, con una discutibile ed inaspettata ordinanza, ha sancito la riduzione della protesta da 24 a sole 4 ore. Tale precettazione tuttavia ha inasprito gli animi nonché ulteriormente scoraggiato una moltitudine di individui che ad oggi, dopo aver fronteggiato e rischiato la vita in tempi duri come quelli appena trascorsi, si ritrova a dover stagnare in una costante incertezza professionale derivante da mediocri sistemi di contrattazione collettiva, appalti vacillanti sempre più protesi alle esternalizzazioni e, non da ultimi, ridicoli ed inadeguati sostegni degli ammortizzatori sociali. Questo immobilismo sociale tuttavia lascia l’amaro in bocca poiché ancora una volta assistiamo all’ennesima sconfitta: in primis dei diritti che vengono sopraffatti dagli scellerati interessi economici ed in secundis quella della dignità umana sempre più calpestata. C’è bisogno quindi che non si ragioni più a compartimenti stagni e che le lotte vengano sostenute in massa da tutti, al fine non solo di dimostrare che laddove c’è un settore più in sofferenza di un altro è l’intera macchina operativa che si ferma, ma soprattutto per far sentire forte e chiaro che l’iniqua sorte dei cittadini non può essere un problema costantemente legato alla mancata tutela del “lavoro”. Da esso infatti scaturisce ciò che siamo e cosa facciamo e nell’era della globalizzazione mondiale non devono, né possono più esistere, fasce di popolazione che non arrivano a fine mese, vittime di un Paese sempre più in affanno a rincorrere standard decisionali imposti da altri e non ragionati sulla base della propria reale endogena patologia.