Il complesso costruito nella seconda metà del ‘500, dal cardinale Innico D’Avalos, feudatario di Procida che la destinò a sua residenza
PROCIDA – Procida, la più piccola delle isole del Golfo di Napoli, in modo particolare dopo la proclamazione di “Capitale italiana della Cultura per il 2022”, avvenuta lo scorso gennaio, è al centro dell’attenzione, con un interesse crescente da parte dei media, nazionali ed internazionali, e degli operatori turistici. Per coloro che decidessero di visitarla raggiungendola in traghetto o aliscafo, provenienti dalla terraferma o dalle vicine isole d’Ischia e Capri, quando il tratto di costa inizia ad essere riconoscibile, svetta, sul punto più alto di “Terra Murata” a 90 metri sul livello del mare, il Palazzo d’Avalos con l’ampio complesso dell’oramai ex struttura carceraria, quest’ultima definitivamente chiusa nel 1988 con gli immobili passati al Comune di Procida nel 2013 a titolo non oneroso, nell’ambito delle procedure messe in atto ai sensi del D. lgs. n. 85/2010 e grazie all’approvazione del Programma di Valorizzazione.
A darne una descrizione del contesto, chiara ed emotivamente coinvolgente, il dott. Giacomo Retaggio, medico e scrittore che, per altro, nell’Istituto di pena ha esercitato la sua professione per tanti anni raccontando in testi di grande interesse la sua esperienza. “Il complesso – scrive Retaggio – fu costruito, nella seconda metà del ‘500, dal cardinale Innico D’Avalos, feudatario di Procida come sua residenza. Questo cardinale, dopo l’andata via da Procida dei Benedettini che reggevano la vicina Abbadia di S. Michele, assunse nella sua persona la carica di unica autorità civile e religiosa dell’isola. Oltre a costruire il palazzo il Cardinale edificò anche le mura di difesa dagli attacchi barbareschi del borgo della “Terra casata” che da allora si chiama “Terra murata”. Si può affermare che dai tempi del cardinale D’Avalos questa zona di Procida sia rimasta tale e quale. Passeggiare per le sue viuzze dai nomi impossibili, via Guarracino, via Papere ed altri, ti dà la sensazione di un tuffo nei secoli passati, ti pare quasi di udire dai vari pertugi delle case le grida dei corsari barbareschi che sciamano con le spade sguainate per uccidere e rapire. Tempi di terrore erano quelli! Per fortuna oggi non è più così. Ne abbiamo fatta di strada! Il Palazzo D’Avalos dopo un paio di centinaia d’anni, passò, pare per debiti, ai Borboni. Al cardinale, vero principe del Rinascimento, piaceva spendere e godersi la vita. Carlo III di Borbone ne fece una sua residenza reale, elevandolo al rango di reggia. Si trasferiva a Procida, bene “allodiale”, vale a dire proprietà personale della Corona, con tutta la corte per le sue partite di caccia. Quando questi fu chiamato sul trono di Spagna il suo posto venne preso dal figlio Ferdinando IV che continuò nelle stesse abitudini del padre. Alla morte di questi salì sul trono di Napoli il figlio Ferdinando II che aveva un po’ il dente avvelenato contro i Procidani, perché? Chiederete voi. Perché questi, nel 1799, quando sul trono c’era il padre Ferdinando IV, parteciparono in parte per la Repubblica partenopea, creata a Napoli dai giacobini locali in combutta con quelli francesi. La reazione borbonica, supportata dagli Inglesi, fu terribile: solo a Procida furono impiccate, il primo ed il 15 giugno del ’99, nella piazza di Sèmmarezio, quindici persone. E furono le prime in tutto il regno. Salito sul trono, Ferdinando II decise che il palazzo D’Avalos diventasse carcere regio. E così nel 1830 divenne un penitenziario. Bella la carriera di questo palazzo! Da reggia a carcere. Ora, dico io, non c’erano altri posti nel Regno, anche più idonei, ove poter impiantare una casa penale, senza marchiare con una sorta di bolla d’infamia uno dei siti più belli del mondo? Questo carcere ha funzionato ininterrottamente dal 1830 fino al luglio 1988 ed il sottoscritto vi ha lavorato, come medico, gli ultimi venticinque anni. Lo conosco come le mie tasche, anzi…forse meglio. Ha tenuto prigioniero tra le sue mura, spesse uno, due metri, tutto il gota della delinquenza italiana degli ultimi centocinquant’anni. Non solo! Ma, subito dopo l’ultima guerra, tutti i “capi” del regime fascista, da Graziani a Junio Valerio Borghese, a Teruzzi, Cassinelli, Del Tetto ed altri. Da meno di dieci anni –conclude Giacomo Retaggio – lo Stato lo ha trasferito al Comune di Procida che spera di farne la punta di diamante del suo sviluppo turistico”.
Chiuso ad inizio pandemia, da Domenica 13 giugno sarà possibile tornare nelle stanze dell’ex-carcere ed ascoltare, dai membri dell’Associazione Palazzo D’Avalos, le sue numerose storie. Giorni di apertura:
– lunedì – martedì – mercoledì – giovedì: visita guidata, su prenotazione, ore 10.30;
– venerdì – sabato – domenica: apertura dalle 10.30 alle 13.00, con visita guidata alle 11.00.
Per info e prenotazioni: 333351070.
Guglielmo Taliercio