È stato proclamato uno sciopero nazionale degli autoferrotranvieri il prossimo 8 febbraio, un’astensione lavorativa di 4 ore che riguarderà i lavoratori e le lavoratrici del trasporto pubblico locale che“incrocieranno le braccia” per rivendicare il sacrosanto diritto di avere riconosciuto il rinnovo contrattuale scaduto ormai da tre anni, dal 31 dicembre 2017. Il negoziato per il rinnovo del CCNL Mobilità TPL purtroppo non ha avuto alcun esito positivo nella sua sede naturale, quella cioè di una normale trattativa tra le parti datoriali e sindacali dal momento che le Associazioni Datoriali, Asstra, Anav ed Agens non hanno mai avuto alcuna intenzione di chiudere positivamente il confronto, cosicché era inevitabile per le Organizzazioni Sindacali aprire una serie di procedure di raffreddamento preventive allo sciopero. La manifestazione di sciopero può apparire per certi versi clamorosa, tenuto conto dell’emergenza sanitaria ancor in atto, proprio per questo vale la pena analizzare le motivazioni oggettive che hanno comportato l’azione di protesta. Un contratto scaduto da tre anni, per la precisione a dicembre 2017, già basterebbe a motivare le ragioni dello sciopero, un contratto le cui richieste, naturalmente, hanno alla base il miglioramento delle condizioni normative ed economiche per i lavoratori del settore.
Ma come si diceva, le motivazioni non sono confinate semplicemente nella mera rivendicazione di principi generali ma, piuttosto, in una rivisitazione di sistema trasporto da adeguare al contesto attuale; un contesto dove il contratto nazionale rappresenta, per il tpl e in generale per il mondo del lavoro, lo strumento regolatore per disciplinare il rapporto di lavoro, anch’esso assolutamente da attualizzare. Tra le principali cause dello sciopero, oltre a quelle enunciate di principio generale, vanno annoverate quelle evidenziatesi con l’emergenza sanitaria diventate per lo più strutturali. Un settore, quello del trasporto pubblico locale dove, anche grazie al senso di responsabilità dei lavoratori, si è riuscito a garantire la continuità del servizio evitando il più possibile disagi a cittadini e utenti. Lavoratori che, tuttavia, hanno dovuto operare spesso in solitudine e con il pericolo contagio in condizioni lavorative, nonostante le misure preventive stabilite, di gran lunga peggiorate e appesantite, molte volte, da circostanze non prevedibili per l’aggravamento della situazione di contesto.
A tutto questo vanno aggiunte le criticità di settore già esistenti prima della crisi sanitaria, quali la necessità di una vera e propria riforma del comparto e il trasferimento di risorse adeguate da parte del governo centrale. Manca, purtroppo, ancora una visione di insieme per rendere il trasporto pubblico locale volano straordinario per lo sviluppo economico dell’Italia, non si registrano scelte misurate e investimenti nel settore per assicurare un servizio pubblico di maggiore quantità e qualità per lavoratori e utenti. Le inefficienze sono disparate, un settore ancora troppo frammentato in cui i processi di aggregazioni sono condizionati dalle norme e, talvolta, da interessi di sorta. Tutte queste criticità fanno parte dei punti posti alla base dello sciopero proclamato per il giorno 8 febbraio. A tutte queste rivendicazioni avanzate dalle Organizzazioni Sindacali, si è ricevuto, purtroppo, il netto diniego delle associazioni datoriali ad aprire la trattativa di rinnovo contrattuale. Una posizione rigida, quella delle rappresentanze aziendali, che hanno manifestato l’impossibilità di aprire un confronto dovuta alla crisi finanziaria causata dalla pandemia da Covid-19. Anche qui, evidentemente, una breve analisi va fatta in quanto va evidenziata, nel merito, la posizione pretestuosa delle associazioni datoriali. Intanto, senza voler enumerare le risorse che il governo centrale ha destinato al settore e quindi alle aziende, le associazioni datoriali dimenticano come dall’inizio della pandemia vi sia stata, comunque, una riduzione dei costi per le aziende infatti, con la contrazione dei servizi intrapresa, i costi gestionali si sono ridotti così come, l’applicazione degli ammortizzatori sociali per i lavoratori interessati dalle stesse misure ha decisamente abbattuto le spese sul personale. Le motivazioni economiche esibite e collegate al Covid-19, dunque, considerato anche che l’emergenza sanitaria si è rivelata tale nel corso dell’anno 2020, appaino forse troppo sterili rispetto alla “vacanza contrattuale” riferita invece al triennio 2018-2020.
A queste posizioni si poteva rispondere in un unico modo, con l’unico strumento legittimo di protesta che la legge permette, con l’unica azione che possa rappresentare il disagio di una intera categoria impegnata quotidianamente a garantire il diritto costituzionale alla mobilità dei cittadini. Lo sciopero nazionale, oltre alle rivendicazioni proprie di specie, può diventare anche un momento di riflessione per assumere consapevolezza che, nella necessaria ripartenza del Paese, deve essere contemplata quella del miglioramento di sistema del trasporto pubblico locale auspicando, intanto, che i lavoratori del settore non debbano attendere 7 anni per vedersi rinnovato il contratto nazionale come accaduto per quello precedente.