“Scavare delle buche nel terreno per poi ricoprirle di nuovo.” Detta così questa frase è un’apologia all’inutile, scavare per poi riempire, un esercizio superfluo che comporta solo uno spreco di energie. Eppure quella frase sintetizza, bruscamente, il concetto espresso da uno dei più illustri economisti del secolo scorso, John Maynard Keynes.
In genere chi arriva alle teorie Keynesiane lo fa attraverso un percorso di studio specifico che riguarda gli aspetti dell’economia, ma il continuo richiamo a Keynes del Segretario Generale della UIL, Bombardieri, ha smosso la curiosità anche di chi, pur facendo parte del mondo sindacale, di economia non ne ha mai masticato.
Ebbene, iniziando ad interessarsi alle teorie di Keynes ci si rende conto dell’attualità delle sue idee, più che mai nel periodo di crisi che stiamo vivendo a causa della pandemia.
Infatti è proprio nei periodi di crisi, o immediatamente successivi, che le teorie dell’economista britannico assumono un valore fondamentale.
Già dopo la prima guerra mondiale Keynes sostenne, attraverso delle pubblicazioni, che le eccessive sanzioni imposte alla Germania dai paesi vincitori avrebbero prodotto un disastro economico, provocando una crisi senza precedenti con una disoccupazione ai massimi livelli, fenomeno che avrebbe potuto dare spazio a facili populismi, così come avvenne, determinando la nascita del nazismo e tutte le nefaste conseguenze che esso ha prodotto.
Nel secondo dopoguerra le teorie Keynesiane furono applicate attraverso lo sviluppo del famoso “Piano Marshall” che vide gli Stati Uniti d’America impegnati nell’attuazione di un progetto di aiuti finanziari ed economici per i paesi europei del valore di quasi 13 miliardi di dollari, per impedire l’aggravarsi delle condizioni economiche e sociali del vecchio continente che avrebbero potuto rideterminare di nuovo condizioni politiche nazionaliste ed aggressive, ed è partendo da quelle scelte che si è riusciti a costruire l’Unione Europea.
Oggi siamo di nuovo in guerra, investiti da una pandemia mondiale che ha prodotto a sua volta una crisi economica universale che a lungo andare potrebbe diventare più dannosa di quella sanitaria.
Quindi oggi, più che mai, diventa ineludibile applicare i concetti Keynesiani alle politiche di sviluppo, durante il Covid ma sopratutto dopo, il concetto di aiuto dallo Stato, utile ad attuare politiche espansive per accentuare l’offerta di lavoro in grado di affrontare i fenomeni di disoccupazione, anche ricorrendo all’incremento della spesa pubblica, diventa una necessità, anche a costo, come provocatoriamente ricordava Keynes, di far scavare buche per poi riempirle. Certo, è più ragionevole far costruire infrastrutture, materiali e digitali, come è più ragionevole investire in formazione, trasporti, ambiente, approfittando del nuovo “Piano Marshall” messo in piedi dall’Unione Europea attraverso l’erogazione dei Recovery Found, incassando anche i 36 miliardi dei fondi MES che come destinazione d’uso hanno un unico obiettivo, quello di migliorare il sistema sanitario. Un combinato disposto che ha un unico solo obiettivo, quello di aumentare il PIL attraverso la maggiore produzione di beni e servizi, con la crescita che gli economisti definiscono domanda aggregata, solo così potremmo sperare in un aumento della produzione, solo così potremmo auspicare che l’offerta di lavoro aumenti.
Forse, solo così potremmo auspicarci una ripresa e perché no, con un po’ di resilienza augurarci un nuovo boom economico che riporti, attraverso il lavoro, la dignità, la salute e la certezza del futuro a tutti noi e a coloro che verranno dopo.