È molto che non ti scrivo, un po’ per scelta un po’ perché impossibilitata. L’ultima volta che l’ho fatto risale a prima delle feste, a Natale e Capodanno. Andiamo per ordine, il periodo festivo, mai come questa volta, mi è sembrato insopportabile. Quell’evasione dal reale approfittando di una ricorrenza molto spirituale (il Natale) abbinata al suo contraltare laico (Capodanno)..come dire, un colpo al cerchio ed uno alla botte. Questo obbligo ad essere felici riconducibile ad eventi fissati dal calendario, al grido di felicità che corrisponde all’abbuffata. Orgia non solo di cibo ma di ogni cosa, con variazioni sul tema, dall’antipasto ai cappelletti, con tutto quel che si può mettere lì in mezzo. Tutto questo come sempre mi risulta ipocrita, solo che questa volta non ho voluto subire. Dopo aver salutato i soci dello studio mi sono presa un mese per fuggire da tutto quel caos inutile, costoso, ma soprattutto indotto. Sono andata su in montagna nella vecchia casa dei nonni, quella isolata nei boschi, mi sembra di avertene già parlato. Lì ho trascorso il mio periodo di canonica felicità come da istruzioni, tu lo sai non sono una persona asociale, ma sarà forse per la professione o per qualcos’altro ma ogni tanto sento la necessità di restare con me, parlarmi, fare il punto, quale occasione migliore? Una di quelle sere trascorse in beata tranquillità mentre mi preparavo la cena (salmone affumicato e asparagi all’olio con il parmigiano). Stavo aprendo una bottiglia di bianco di Lapio per farlo decantare come da bambina in quella stessa cucina mi insegnava nonna Ruja. Fu così che la figura della mia nonna materna mi fece compagnia quella sera. Ruja mi raccontava un sacco di storie di quando era giovane, trasferendomi parte del suo sapere anche se allora non mi rendevo conto di cosa parlasse. Man mano che crescevo le storie diventavano sempre più da grandi. Una sera di fine estate mi raccontò di quando giovinetta fu costretta a passare intere giornate nascosta nella paglia. C’era la guerra, il papà di Ruja come molti uomini era stato chiamato alle armi ed in casa erano rimasti la madre e i due figli, Pietro e Ruja. Se non fosse stato per l’assenza del padre poteva apparire tutto normale, anche perché le baldanzose truppe andavano ad invadere terre nemiche, così dicevano, passando per la valle. Dopo qualche anno i militi orgogliosi fecero il contrario. In cammino, feriti e sporchi, nel tentativo di salvarsi la vita. Mi narrava di quegli uomini famelici che per fuggire razziavano ogni cosa.
Ad ogni avvisaglia di soldati in transito la madre nascondeva Ruja nei covoni di paglia con l’obbligo di restare nascosta finché lei o il fratello Pietro non andassero a chiamarla. Capitava di stare nascosta per giornate intere e l’unico contatto con quanto la circondava erano il bestiame dei soldati, le urla della madre, i rumori degli scarponi sul terreno che preannunciavano l’allontanarsi dell’orda. Dopo numerosi giorni il passaggio si fermò e per un po’ sembrò che tutto si fosse calmato, ma quando stavano cominciando a rasserenarsi ecco un’altra ondata. Erano gli altri, i liberatori: anche loro razziavano quel poco che era sfuggito ai primi e anche da loro Ruja trovò rifugio nella paglia. Lingua diversa ma stessi suoni, stessi rumori. Erano così identiche le situazioni che mia nonna si chiedeva dal suo nascondiglio cosa cambiasse tra questi e gli altri, visto che la costringevano nel suo mondo di paglia, tutti senza eccezioni. Un bel giorno tutto finì, il papà miracolosamente tornò a casa quando ormai non si aspettava più e con il tempo tutto tornò normale, non come prima, ma accettabile. Questi racconti di nonna Ruja mi lasciavano perplessa come se contenessero qualcosa che mi era stato sottaciuto, con un livello di lettura da me non compreso. Un paio di anni dopo capii tutto. Ebbi un profondo disagio al solo immaginare l’angoscia di una adolescente con l’ansia di quella orribile prospettiva se solo avessero subodorato la sua presenza. Alla luce di quei racconti e del loro significato, mi chiedo (visto come stanno andando le cose nel mondo e malauguratamente gli eventi dovessero precipitare) quanto resterebbe nei comportamenti delle persone del vivere civile? Quanta paglia servirebbe se mai servisse a qualcosa? Ma lasciamo che il mondo goda della felicità indotta a comando, ignorando la fine che la stessa umanità allegramente si costruisce. Sono tornata in città, al mio lavoro, ai testi, ai tribunali e a tutti i comportamenti della società evoluta.. evoluta? Ho finito di confidarmi con te amico di penna. Intanto mi verso un bianco di Lapio alla salute di tutti, si proprio di tutti.
Salutami chi vuoi Rujamar!