Ogni anno, all’avvicinarsi del Natale, c’è un profluvio di buoni sentimenti, la cornucopia delle buone intenzioni, l’enteroclisma di bontà. Questo da sempre, perché se noi cristiani festeggiamo la nascita del Salvatore, nell’antico mondo romano, in egual periodo, vi era la festa del “Sole in invictus”. Questa festa rappresenta la vittoria del sole, della luce e del calore sul gelo ed il buio dell’inverno. Al di fuori dell’impero si festeggiava da sempre la rinascita della natura, il ritorno di tutte le cose alla vita, appunto con il solstizio d’inverno che cade a fine dicembre. Ma allora, ci si potrebbe chiedere, se l’umanità tutta viene pervasa da tanta bontà, tutti insieme davanti al solstizio d’inverno, indipendentemente dal perché siamo tutti più buoni, come mai continuano i massacri, come mai si distruggere quel che ci circonda? Non penso solo alle innumerevoli guerre in atto ma anche al dilaniarci dovuto ad alcuni aspetti del nostro quotidiano. Trascuriamo e dimentichiamo il sociale, il diritto alla salute, al lavoro, alla dignità delle persone. Tutto ciò è molto grave, come è grave distruggere le foreste o inquinare mari e terre. Così, più o meno una volta all’anno, investiti da questo vento di bontà istintivo-indotta, tutti lì a chiederci come è possibile tanta bruttura. Si pensa da soli o insieme ad altri a soluzioni più o meno praticabili.
Mentre si adornano milioni di abeti con luminarie e ghirlande ci si commuove davanti al sorriso dei nostri bambini che ci sgambettano intorno, fanno tanta tenerezza. Ma i “nostri”, non i bambini del Congo dove continuiamo ad abbattere foresta primaria, o magari ai bimbi del Ciad il cui territorio viene usato come campo di battaglia da parte di milizie armate. Ah, certo, non ci si può caricare dei mali del mondo, anche perché chi ci ha provato prima a farlo, nonostante le spalle larghe, c’è rimasto secco, ma specialmente quelli voluti da altri, noi che c’entriamo, noi siamo noi, mica siamo gli altri! Hai voglia a pensarci, si rischia di rovinarsi la festa.
Dite ciò che volete, ma adesso mi torna alla mente quella storia dello scorpione e l’elefante, non la conoscete? Un giorno, sulla riva di un fiume, lo scorpione pensava a come attraversare senza affogare. Di lì a poco passò un elefante e lo scorpione gli chiese di guadare il fiume sulla sua groppa. Al rifiuto del pachiderma, lo scorpione domandò il perché. L’elefante rispose che aveva paura d’esser punto e di morire. Tanto giurò e promise lo scorpione che l’elefante si convinse, lo fece salire su di sé e guadarono felicemente il fiume.
Giunti che furono sull’altra sponda l’elefante sentì il pungiglione velenoso dello scorpione bucargli la pelle. Ma come, disse, mi avevi promesso di non farlo, adesso morirò. Scusa, non è colpa mia, disse lo scorpione, è la mia natura!
Buone feste vi saluto e sono L’autoferroagricolo!