Ubaldo quella sera era ”seccato”, non sapeva cosa fare e soprattutto non sapeva cosa voleva. Da quasi mezz’ora seduto in poltrona si sentiva le terga di piombo, voleva alzarsi e non voleva. Dinanzi aveva la sua ultima pazzia, un mega tv che aveva tante di quelle funzioni da non sapere se c’era anche lo sportellino per il caffè. Sicuramente era stata una sciocchezza comprarla visto la cifra, ma lui era fatto così, quando una cosa gli piaceva non c’era nulla da fare, non si dava pace. Ed ecco dallo schermo la presentazione di un ricercatore, uno scienziato posto a capo di un progetto in California, con lo scopo dichiarato di allungare la vita degli uomini.
Questo attirò l’attenzione di Ubaldo scuotendolo dal suo torpore. Lo scienziato, per altro Italiano, si presentava come un biochimico e cominciò a raccontare come era giunto alla conclusione del suo lavoro, dopo venti anni di studi e ricerche. Il biochimico era partito dal DNA di diversi tipi di lievito, essendo esso biologicamente vivo, con ”solo” seimila geni a comporre la sua catena elicoidale. Aveva poi notato come alcuni tipi di lievito ”vivessero” fino a dieci volte più di altri, tutto questo grazie al modificarsi di alcuni geni. Quegli stessi geni ritrovati sui topi, poi sempre più su fino a raggiungere l’uomo. Ricerche compiute su un gruppo etnico in Ecuador, in Giappone, in Sardegna, ovunque ci fosse notizia di comunità con alte percentuali di ultracentenari.
Studiare la dieta alimentare di quei soggetti così longevi, scomporre quei cibi biochimicamente e scoprire quali sostanze ingerite rafforzano modificando i nostri geni e così ridurre del novanta per cento l’insorgere di mali. Disturbi cardiovascolari, diabete e decine di altri mali invalidanti, tutto grazie ad una dieta, “siamo alle solite” si disse Ubaldo, poi si rese conto che non era così. Lo scienziato spiegò che il rimedio proposto era sopportabile, bastava fare cicli di cinque giorni due volte l’anno per i più sani, fino ad un massimo di dodici cicli per i meno fortunati.
Il bello era che tra un trattamento e l’atro non vi era alcuna restrizione. “Tutto sommato comodo” si disse Ubaldo, specialmente quando il ricercatore raccontò che come conseguenza collaterale di tale ”cura” si eliminava ogni forma di grasso corporeo in eccesso. Non solo sani, ma tutti “fichi”! Durante il trattamento bisognava alimentarsi un po’ come gli astronauti con barrette alimentari e cose del genere, contenute in un apposito kit da commerciare di lì a poco, sempre sotto la guida di un nutrizionista, il tutto era specificato in modo esaustivo in un libro scritto dallo scienziato, ove erano riportati anche i dati della sperimentazione fatta su centoventimila volontari, i proventi della vendita sarebbero andati sul fondo finanziario per continuare la ricerca. Bravo, bravo, è lodevole. Ed ecco Ubaldo, interessato, comincia a riflettere, certo rispetto ad altre soluzioni ”miracolose” questa era sopportabile.
Poi, con la memoria tornò a tutte quelle immagini di ultracentenari visti in televisione, alle interviste da essi rilasciate. Valeva la pena, si chiese, vivere venti anni o più oltre l’aspettativa media di vita e per questo rinunciare al piacere, ogni forma di piacere? Magari su una sedia a rotelle, con la necessità di essere accudito, lavato, nutrito? Come tutte le cose anche la vita ha un costo, ma se togliamo piacere alla vita alla fine cosa abbiamo? E poi, quel tempo in più strappato al fatto che qualità rivestirebbe? Possibile che ogni forma di piacere ci accorci la vita, il cibo fa male, il sole fa male, e tante altre cose che in un modo o nell’altro ci danno piacere fanno male?
Apparve nella mente di Ubaldo il famoso cane si, sì, proprio quello che si mangia la coda. Lunga vita, minestra sciapa, cibo gustoso, vita corta, la cosa sconvolgente, pensò Ubaldo, è che questo concetto si può applicare a tutto. Ogni cosa si paga, c’è un costo, il benessere con l’inquinamento, l’abbondanza col sottrarre ad altri, la stupidità con la guerra. Ma si disse il nostro, forse la fine, quella vera, collettiva sarebbe giunta inaspettata come tutti i drammi. Magari l’umanità avrebbe cessato di esistere con una sorta di rito collettivo. Non pensava all’atomica Ubaldo, ma piuttosto a qualcosa di più silenzioso, discreto agghiacciante. Avete presente lo spiaggiamento dei cetacei? Delfini e balene liberi e giocosi negli oceani d’improvviso decidono, chissà come e perché, basta, basta così, e puff! Ecco, a qualcosa di simile pensava Ubaldo.
Vi saluto e sono L’autofferoagricolo!