Il 2016 è partito in salita per gli utilizzatori dei treni ad Alta Velocità. Dal primo gennaio sono stati incrementati i prezzi per tutti i treni AV, in particolare quelli relativi ai biglietti base, cioè i titoli che permettono il cambio di prenotazione e di itinerario. Sono rimasti per fortuna invariati i costi per i segmenti economy, super economy e per gli abbonamenti. La più colpita è stata la tratta Roma -Milano, che ha subito un aumento del 3,5%, mentre, in termini assoluti, il rincaro più forte (4 euro) è stato riservato alla tratta Napoli – Milano; si registra, inoltre, un +2,3% sulla tratta che collega la Capitale al capoluogo partenopeo. Immediate le rassicurazioni da parte dell’azienda, che ha sottolineato come gli aumenti hanno interessato solo una piccola fetta del mercato, stimata in circa il 10% dei ricavi, e come sia lontano nel tempo l’ultimo intervento sui prezzi, risalente al 2011, quando si intervenne in occasione del passaggio dalle due classi di servizio, alle attuali quattro (Standard, Premium, Business ed Executive). Secondo FSI, inoltre, cinque anni fa gli aumenti furono più forti, nonostante oggi i servizi siano oggettivamente “più moderni, capillari e veloci”. Il vero problema, però, è che l’aumento dei biglietti ferroviari si aggiunge a quello delle tariffe autostradali (+ 0,86%) ed all’addizionale sui viaggi aerei (+2,50 €), mettendo in moto un circolo vizioso che porterà le famiglie italiane a spendere nel 2016 oltre 1,4 miliardi di euro in più solo per la voce trasporti. Anche se il 2016 ha riservato cattive notizie per i fruitori dell’alta velocità, gli aumenti relativamente contenuti hanno attutito il colpo. Quello che davvero spaventa è il futuro che sarà riservato in generale al settore del trasporto ferroviario. L’alone di incertezza che copre il destino di FSI resta fitto, dato che al momento ancora nulla è stato stabilito con certezza in merito alle modalità e alle tempistiche della privatizzazione. Le strade che fino ad ora sono state disegnate sono due. La prima prevedrebbe l’eventualità di mantenere pubblica la rete, privatizzando i servizi ed aprendoli ulteriormente alla concorrenza. La seconda presumerebbe la possibilità di vendere in solido il 40% del Gruppo FSI. Entrambe le vie, nonostante i proclami, sembrerebbero seguire esclusivamente il piano del Governo per fare cassa ed in particolare per reperire risorse da destinare all’abbattimento del debito pubblico. Gli effetti positivi sull’efficienza complessiva del sistema restano dubbi, soprattutto se la necessità di reperire al più presto denaro passi attraverso una privatizzazione estremamente fragile, dunque priva di qualsiasi ragionamento economico ed avulsa da un piano industriale solido e ben strutturato. In quel caso, l’intero sistema verrebbe duramente colpito e le conseguenze sarebbero devastanti per tutti, in particolare per i soggetti più deboli, dai lavoratori ai viaggiatori.
Umberto Esposito