La Sposa Cadavere (in inglese “The Corpse Bride”) è un lungometraggio del 2005 di Tim Burton, un breve film di animazione prodotto con la tecnica dello stop-motion, la stessa utilizzata nel precedente e altrettanto di successo Nightmare Before Christmas. La pellicola è molto conosciuta, vista e rivista da molti; in pochi, però, conoscono l’ispirazione che vi è alla base e i significati profondi che si celano dietro questa fiaba.
La storia è semplice e malinconica: in un villaggio olandese dell’età vittoriana, sta per avvenire un matrimonio combinato tra due giovani, il ricco commerciante Victor Van Dort e la nobile decaduta Victoria Everglot, quando, durante le prove del matrimonio, lui manda all’aria tutto, non dimostrandosi all’altezza del rito e addirittura bruciando la gonna della futura suocera. Ritiratosi in un bosco, Victor ripete il giuramento più volte sperando di non farsi cogliere dall’ansia; dopo un tentativo di successo, infila l’anello ad un ramoscello che spunta dal terreno e somiglia ad un dito… O meglio, è un dito, ed appartiene ad una giovane sposa morta in quel luogo anni prima. Ed è così che la Sposa Cadavere, il cui nome è Emily, si ritrova maritata al vivente Victor, che è l’unico che può liberarla da una maledizione che la lascia bloccata in un limbo. Infatti, uccisa anni prima dal suo fidanzato con il quale era fuggita proprio il giorno del suo matrimonio, non avrebbe avuto accesso al Paradiso fino a che non avesse pronunciato il giuramento nuziale; da quel momento, aspettava che un uomo si dichiarasse per poterlo sposare. Unico problema: Victor non è davvero contento della situazione e vuole tornare da Victoria.
Insomma, un vero e proprio triangolo amoroso, con tanto di sguardi di gelosia tra le due donne negli unici istanti in cui si incontrano. Ma Emily, se ci riflettiamo, è una vittima di femminicidio; l’uomo di cui più si fidava, il suo amato, l’aveva uccisa per rubarle i gioielli e condannata ad una condizione di infelicità. Non toglie l’abito da sposa nemmeno per una scena: è fragile, consumata dai vermi della sua coscienza (letteralmente); si innamora, di nuovo, di Victor, e di nuovo ne resta delusa. Nonostante sembri condannata a non vedere realizzato il suo sogno di matrimonio, non porta rancore, né mostra rabbia; è fragile, piange spesso, capisce di non poter competere con una donna viva.
Molto diversa è la situazione nella storia originale. Sì, perché La Sposa Cadavere non è una storia scritta da Burton. Una leggenda ebraica dal titolo Il Dito è contenuta nell’opera Lodi del Leone, che racconta le imprese del rabbino Isaac Luria nel città di Safed, nel Cinquecento. La sposa cadavere, in questo caso, non è un cadavere, ma una presenza demoniaca giacente nel sottosuolo alla quale un uomo, per scherzo, infila un anello nuziale. Il demonio si presenterà all’uomo solo il giorno prima del suo matrimonio con una fidanzata vivente, e senza alcuna intenzione di mollare la presa; sarà il rabbino, poi, a dover sistemare la situazione, autorizzando il divorzio tra i due.
Come tutte le leggende, la storia ha subito delle modifiche fino ad arrivare, in una versione più recente, a parlare effettivamente di un matrimonio forzato tra un vivente ed una morta, che si conclude con l’abbandono, da parte dell’anima, dello sposo, generalmente dopo aver discusso con la fidanzata vivente. Ed è così che termina anche la pellicola: Victoria dapprima sposa un altro uomo molto ricco, Lord Barkis, che si scopre essere proprio l’assassino di Emily, ma che non ama. Victor, allora, tenta di suicidarsi per unirsi alla Sposa Cadavere per sempre; ma lei glielo impedisce non appena guarda negli occhi Victoria, rendendosi conto di star rubando il suo stesso sogno ad un’altra donna. E con la migliore delle solidarietà femminili, restituisce l’uomo alla sua amata; il veleno, in un tragi-comico brindisi involontario, viene bevuto da Barkis, mentre Emily trova la sua vendetta e può finalmente liberarsi in Paradiso.
Ma se questa vendetta a primo avviso suggerisce un’esultanza, lascia nel finale con l’amaro in bocca; Emily, dolce e fragile, mostra la sua determinazione solo nell’aiutare Victoria per salvarla dall’uomo che ha decretato la sua fine, e donarle un futuro che lei non ha avuto. Insomma, non solo un’icona nella lotta contro il femminicidio, ma anche un esempio completo di gentilezza e altruismo.
La dolcezza con cui la Sposa Cadavere si dissolve in farfalle che volano verso l’aldilà lascia una sensazione di vuoto. La vendetta non è e non può essere soluzione; ma nemmeno un amore non scelto lo è, e la povera donna è costretta a condividere una felicità che non le spetta. Lo spettatore non riesce a trovare una soluzione davvero valida per liberarla. Solo il sacrificio che decreterà il ricongiungimento tra i due amanti sventurati, Victor e Victoria, sembra concederle la pace; un atto da cui tutti dovremmo prendere esempio, in pratica.
“Sempre la damigella, mai la sposa” le ricorda Lord Barkis prima di uccidersi involontariamente. “Siamo solo di passaggio”, racconta Emily.
Sentiamo spesso parlare di morte, in questo periodo forse particolarmente. Non solo coronavirus, ma anche salute mentale, violenza di genere, discriminazioni fatali. Sembra di stare sospesi in un limbo completo, uno spesso strato di terra da cui fuoriesce un dito.
Un dito che è facile sfiorare, al quale, da un giorno all’altro, potrebbe cadere un anello nuziale.
Ma riflettere di morte ruba tempo alla vita; una vita che squarcia il tempo come un fulmine veloce. Ed è per questo che Emily non troverà mai la sua vera libertà da morta; quella la si ottiene solo in vita, come Victoria.
E questo messaggio, nella sua tristezza, dovrebbe guidarci: lottiamo, ogni giorno, per essere la parte migliore di quello che siamo. Abbandoniamoci ai nostri sogni. E, come tributo, non dimentichiamoci di salvare altre Emily dall’essere spose cadaveri: perché lei lo avrebbe fatto per noi.
“Viviamo adesso; per la morte, in un modo o nell’altro, avremo tempo.”
Irene Mascia